Una calda mattina di maggio, Enzo ed io prendemmo, ognuno per suo conto, l’ antica strada romana che da Vibo porta ai ruderi del Castello di Bivona e da quì all’antico porto sommerso di Valentia. Ci incontrammo qualche metro dopo l’ inizio della discesa. La strada tortuosa, si svolgeva come un gomitolo, tra querce, pioppi, arbusti di mirto e ginepro. Era tutto un vociare d’insetti, di uccelli e di foglie toccate dal vento. E laggiù, in fondo, il blu cobalto del mare.
Ad un certo punto il selciato romano comparve tra la polvere rossa della sterrata, perchè ricordassimo chi eravamo e che nome avessero in nostri cromosomi.
Enzo, svoltò all’ improvviso, verso la cava. Un residuo industriale, uno dei tanti che affollano la pianura a ridosso del mare. Scheletri insonni e malinconici, simbolo dello “sviluppo” mancato, del sud inquinato. Era il paradiso delle rondini,quelle che portano una macchia rossa sul petto e che sembrano seguire impazzite le traiettorie del vento e, poco più in là, nei buchi delle pareti di sabbia,facevano capolino uccelli colorati, di verde, giallo, blu e rosso sgargianti: i gruccioni africani.
Il binocolo ci fece godere la loro singolare e allegra bellezza.
Riprendemmo, presto il cammino tra rifiuti e sterpi fino alle case popolari di Porto Salvo e da lì imboccato un tratturo ci dirigemmo verso quello che resta del Castello. Circondato un tempo dagli aranci, oggi svetta tra i capannoni in disuso, abbandonato.
Sostammo giusto il tempo di addentare un agrume, preso in prestito nei paraggi e ci dirigemmo verso il mare, verso il Porto.
Il sole era già alto e la temperatura era ideale per un bagno. Enzo, sportivo di montagna, non disdegnò il mare, sua giovanile passione e …..
Aprimmo gli occhi e sul fondo comparvero i resti imponenti del nostro Pireo. Due bracciate. Poi la sabbia calda asciugò la pelle, prima che tornassimo alle nostre usate cose.