Scrivo in merito al servizio dedicato alla presenza di lupi nel territorio di Bagnara, pubblicato dal vostro giornale On-line lo scorso 15 marzo, per alcune doverose precisazioni al fine di riportare il fenomeno nell’alveo della verità scientifica. Che il lupo abbia ricominciato a frequentare territori calabresi da cui era scomparso da decenni, è un dato di fatto innegabile: è accaduto infatti che, dai territori silani che hanno fatto da “sorgente”, qualche individuo si sia spinto negli anni più a sud, fino a colonizzare le Serre e l’Aspromonte.
Le cause della diffusione della specie, dopo secoli di accanita e crudele persecuzione che lo aveva ridotto ad un centinaio di esemplari in tutta Italia nei primi anni ’70 (indagine promossa dal WWF con esperti quali il Prof. Luigi Boitani e il tedesco Erik Zimen) sono da attribuire principalmente alla creazione di aree protette, alla diffusione di ungulati selvatici (in primis del cinghiale) come nuova risorsa alimentare e non tanto alla protezione legale (in quanto specie particolarmente protetta), quanto alla riduzione generale della stagione venatoria che ha limitato la possibilità di incontri pericolosi (per il lupo naturalmente). Ciò nonostante, ancora oggi, il principale fattore di mortalità, calcolato dagli studiosi tra il 10 e il 20% della popolazione italiana, è rappresentato dalla persecuzione diretta da parte dell’uomo (come purtroppo testimoniato anche in Calabria dai crudeli episodi di Lupi uccisi e poi esposti in modo macabro ai bordi delle strade).
Smentisco categoricamente l’affermazione del rappresentante dei cacciatori secondo cui la presenza dei lupi sarebbe da addebitarsi ad una sorta di “ripopolamento” da parte della Regione o di chicchessia, una credenza purtroppo diffusa, ma che non trova nessun riscontro nella realtà. Infatti, secondo il DocumentoTecnico sul Lupo, n.23 dell’ Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica -oggi ISPRA- a cura dei professori Paolo Ciucci e Luigi Boitani, due assolute autorità in materia: “è utile precisare che in Europa, Italia inclusa, non sono mai stai pianificati né effettuati interventi di reintroduzione, ripopolamento o introduzione di lupi in ambiente selvatico”. Chi sostiene il contrario, ingenerando in maniera irresponsabile ulteriore allarme, dovrebbe nel contempo indicare quale ente, quando e dove si sarebbero verificati questi misteriosi “ripopolamenti” di lupi (magari lanciati col paracadute). Sostenere inoltre, come è stato fatto, che in Italia addiritura “quasi 6 milioni di lupi” (sic!) risulta frutto di pura e iperbolica invenzione, poiché tale numero supererebbe di circa 20 volte la popolazione di lupi in tutto il mondo, stimata appunto in circa 300.000 individui. Se poi si considera che tutti i lupi presenti in Europa sono attorno ai 17.000, si comprende ancora di più l’enormità dell’affermazione.
Ma allora qual è l’entità numerica del “fenomeno Lupo” in Italia? Le stime ufficiali parlano di un totale di 1500-2500 lupi sparsi, si badi bene, su un territorio che va dall’Aspromonte alle Alpi, con una densità di 1-3 lupi/100 Km2 (stiamo parlando di predatori al vertice della piramide alimentare, non di topi). E questo dopo che la specie, fino a cinquant’anni fa, inserita dalla legge nell’elenco dei “nocivi”, è stata perseguitata in ogni stagione e con ogni mezzo, come la gassificazione delle tane e dei cuccioli, l’uso dei bocconi avvelenati con la stricnina o micidiali tagliole che straziavano i malcapitati (per non dimenticare i premi in denaro a chi portava le teste mozzate dei lupi eliminati).
Trattandosi di una specie piuttosto eclettica dal punto di vista alimentare (può trovare cibo nelle discariche così come aggredire grossi ungulati) in determinate circostanze e situazioni ambientali gli è più “conveniente” predare animali da allevamento, anche se non si può escludere a priori la responsabilità di cani vaganti o rinselvatichiti nelle predazioni a bestiame domestico, vista l’oggettiva difficoltà di identificare il predatore basandosi sui segni riscontrabili sulle carcasse.
L’altra dichiarazione suscettibile di scatenare ingiustificati allarmismi, timori ancestrali e comportamenti persecutori illegali, è quella secondo cui i lupi passeranno ad aggredire persino “cercatori di funghi o raccoglitori di fragole”. E’ allora il caso di ricordare che l’ultima aggressione nei confronti dell’uomo si registrò a Gattinara (VC) nel giugno del 1825, quindi due secoli fa (!) e che il lupo, visto il trattamento non certamente benevolo che gli è stato riservato per millenni, cerca di evitare il suo principale nemico: l’uomo.
Quanto al problema dei danni al patrimonio zootecnico e alle conseguenti situazioni di conflitto che nessuno intende negare e che spesso sono alla base delle uccisioni di lupi, va affrontato facendo ricorso a tutte le misure di prevenzione efficaci, basate sulle conoscenze e sulle esperienze maturate in diverse realtà anche italiane dove i lupi vivono da sempre e gli allevatori hanno imparato a convivere con il carnivoro adottando una serie di misure atte a ridurre al minimo le situazioni di conflitto. Ad esempio, l’uso di cani da pastore selezionati per la difesa del bestiame, come il Maremmano Abruzzese, il cane dei Pirenei o lo stesso Pastore della Sila, opportunamente addestrati, può senz’altro servire per tenere lontani i lupi. Occorre altresì incrementare la lotta al randagismo canino scoraggiando in ogni modo l’abbandono di cani che poi rinselvatichiscono, mentre sono auspicabili misure di sostegno economico per le aziende vulnerabili alla predazione, favorendo una più adeguata protezione delle greggi, sia allo stato brado che nei recinti, e promuovendo una politica di informazione degli allevatori su tutte le misure idonee per limitare al massimo le opportunità di contatto tra il lupo e il bestiame.
E’ davvero singolare però che ci si lamenti contemporaneamente della presenza dei cinghiali, e dei danni che provoca, ma non si voglia neanche il lupo che del cinghiale è un predatore, secondo la presuntuosa e arrogante convinzione che a regolare gli equilibri della natura siano solo i pallettoni. Per parte nostra rifiuteremo sempre l’idea di un mondo in cui ci sia solo spazio per l’uomo; questa sì, specie invasiva e distruttrice, in nome di una presunta e autoproclamata superiorità.
Dr Pino Paolillo – Naturalista – Settore Conservazione WWF Vibo Valentia- Vallata dello Stilaro